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martedì 18 ottobre 2011

Marakkech

Marakkech                                                                 


La donna velata




La città mi appare dall’alto, per la prima volta, come appena lievitata dal deserto. Sono in aereo e già la sbircio come osserverei una donna velata.
Gli edifici sono affollati, monocromatici.
Metti un piede a terra e senti l’Africa tutta in una volta. Raggiungo un punto qualsiasi  della città che prima vedevo dalle nuvole. Osservo i muri e mi sembra di fare un balzo nei secoli. Sono tranquillamente in una urbe romana.
La terra rossa è impastata con della paglia e le case si reggono su questo semplice artificio. Le donne impastano la farina mentre gli uomini le pareti delle loro case.
Camminare per la Medina, il quartiere antico della città, è  come giocare a non farsi colpire dalla palla. Qui la palla è il motorino con a bordo una famiglia al completo, o la carrozza trainata da due ronzini pelle ed ossa, che ti aspetti possano tirare le cuoia voltato l’angolo, o un taxi imbufalito.
A Marakkesh non c’è auto che non si muova in modo schizofrenico.
I mezzi si sfiorano, l’autobus fa il pelo alla bici, che taglia la strada al pedone.
E’ un incrocio frenetico che viaggia al millimetro eppure ha una sua dialettica e segue ritmi unanimamente approvati dalla comunità. In definitiva tutti corrono nella medesima direzione seguendo una traiettoria del tutto personale e ad ognuno va bene così. Vorrei camminare per queste strade vedere senza essere vista ma la mia matrice occidentale è una calamita con scritto _ straniero_
Come donna sono tentata più di una volta di mettermi un velo in testa, ma i miei ciuffi biondi scivolano all’aria e i 30 gradi li vogliono assorbire tutti. In Italia eravamo già dentro all’inverno. Le ossa scricchiolavano, l’umido scivolava addosso come un cappotto scomodo o un ospite indesiderato. Qui la profusione di rose a perdita d’occhio, l’aroma di queste scosso dalle grandi foglie di palma, ti fa perdere di vista più di un obiettivo che uno come me appena arrivato potrebbe prefiggersi.
Sai dove vorresti andare ma non è detto che ci arriverai senza una miriade di soste ed eventi non previsti.
Così è prendere o lasciare. Una cosa mi è da subito chiara.
In questo posto io voglio prendere. Immagazzinare immagini, captare umori per me nuovi. I miei sensi sono tutti tesi. Il neonato che ascolta i primi suoni e li memorizza, il bambino che impara la prima canzoncina, mi sento esattamente così.