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lunedì 23 dicembre 2013

I Replicanti Inclonabili di Andy Warhol

Ho incontrato Andy Warhol per la prima volta nel gennaio del 1987, presso il Palazzo delle Stelline in corso Magenta a Milano, in occasione della sua mostra The Last Supper. Mio padre Petros colloquiava con lui sul manifesto che gli aveva creato per l'occasione. Davanti a me allora, piu' che il mitico artista di oggi avevo la fragilita' di un uomo affaticato dalla malattia. Stava seduto, le spalle lievemente ricurve, la capigliatura bianca e scomposta e una pelle diafana scarnificata da un male che si faceva visibile e presente. Non c'erano intorno fan esaltati, finiti i gloriosi anni 70 dove Warhol era un personaggio corteggiato, in quel periodo l'artista si trovava perlomeno a Milano, lontano dalla ribalta. Gia' anni prima alcuni galleristi italiani, con cui mi e' capitato di parlare,  che avevano intravisto nel giovane Andy la genialita' di un'artista fuori dal comune, avevano vissuto l'esperienza di vernissage senza compratori, in un'Italia forse ancora impreparata alle sue visioni Pop. Non sapevo che quella sotto l'opera rivisitata di Leonardo da Vinci, sarebbe stata l'ultima mostra della sua vita e che non l'avrei rivisto mai piu'.  Un mese dopo morì infatti, all'eta' di 59 anni. La mostra inaugurata a Palazzo Reale è ai miei occhi carica di tutti questi ricordi. Mi accolgono alcuni interessanti studi dell'artista, schizzi , scarpette a inchiostro e foglia d'oro delicate ed ironiche come quelle in legno dipinto, dove biondi cherubini fanno capolino. Schianti automobilistici , Dead Stop, raccontano dell'ultima fermata precedente alla fine. Del 1962 i primi bozzetti di lattine Campbell Soup o Heinz Tomato Ketchup. Una scatola in legno griffata CocaCola satura di bottigliette argentate sotto una bacheca. Icone e personaggi famosi sono sempre stati un'attrazione fatale per Andy, come soldi e fama. Insicuro di carattere aveva costantemente bisogno di essere circondato da persone a lui care, che lo rassicurassero e gli dessero consigli. Iniziò così, stimolato dal commento di un'amica che alla sua domanda "Che cosa ti piace veramente e ti rende felice?" rispose senza tentennamenti " Il denaro". Cominciò a produrre arte che lui stesso definiva commerciale. La sua Factory era una fucina che sfornava 2.000 immagini di Mao in un anno e infinite ripetizioni di fotogrammi scelti da Warhol e dipinti in colori accesi dai suoi aiutanti. Lo studio di Andy era un luogo di incontri sensazionali e di azioni al limite del possibile. Fu tacciato di perversioni e di plagiare i giovani che vedevano in lui un modello. Cadde vittima di un attentato ad opera di una donna che gli sparo' a bruciapelo proprio nel suo atelier mentre una tela, oggi esposta con il titolo di Blue Shot Marilyn, porta in fronte il segno di uno dei proiettili.  Liz Taylor fu per lui un'icona di grande ispirazione e divenne soggetto di uno dei quadri più famosi. Scatole replicate di sapone Brillo, detersivo favorito dalle americane negli anni sessanta, diventano capolavori odierni a tanti zeri. Intensi il ritratto di Jean Michel Basquiat su pigmento metallico del 1982 ed il suo autoritratto dell' 86 rosso su lino nero. Pregio a Warhol di aver saputo raccontare in modo pop-olare, il nostro tempo, in maniera istintiva, cinematografica e mai ripetibile, identica a se stessa seppur replicata all'infinito, proprio come gli accadimenti della vita ed i frames dei nostri sentimenti. Michela Papavassiliou                                                                                                                                                     Palazzo Reale . Milano . fino al 16 febbraio 2014