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martedì 6 dicembre 2011

Musica Greca Contemporanea

                                                                            Petros Drawing

La Musica è, nella visione della grecità classica, "l’arte delle Muse". La sua teoria e terminologia hanno una chiara radice ellenica. Il metodo induttivo sviluppato secoli fa dai filosofi greci ha avuto la sua influenza sull’ordinamento del sistema musicale. Le diverse «gamme» sonore (tra le principali: le cromatiche, le enarmoniche e le diatoniche…) richiamano la linearità e la successione tanto care ai pedagoghi dell’antica Grecia. Molti sono gli strumenti di origine greca, tra questi è curioso scoprire, per esempio, come l’organo divenne universalmente conosciuto dopo che l’imperatore di Costantinopoli, nel 700 d.c. circa, ne fece dono al padre di Carlomagno estasiato da quelle atipiche sonorità. Ancora oggi cantanti e musicisti di ogni cultura e nazionalità attingono a questa "grecità" non solo utilizzando una nomenclatura particolare, ma richiamando una filosofia di vita che soffia da millenni e che a volte è architettura bizantina in note, a volte è pathos puro, a volte è altro. Nel 1980 la cantante irlandese Enya viene alla ribalta con il suo "vocalismo solenne ed etereo, la sua liricità e le sue armonie sintetiche ispirate alla musica classica", come definito dalla critica, affascinando anche quando, nella sua marcia funebre "Pax Deorum", utilizza un coro da tragedia greca. Da sempre lirica, oratoria, commedia, dramma satirico e poesia ellenista sono fonte di ispirazione per l’arte in tutte le sue forme. Stavros Xarchakos con le sue canzoni popolari, le cosiddette "laika", mette in musica i poeti greci e manda in visibilio le masse. Nelle pizzicate con il plettro del "buzuki", strumento tradizionale a corde, c’è tutta l’ironia ed il melodramma che di frequente si intrecciano nel modus vivendi greco contemporaneo. In questa gestualità, a volte esagerata, tra due vecchi amici che si incontrano dopo tanto tempo per le strade di Atene, le braccia rivolte al cielo e il nettare degli dei nelle parole, vi è tutta la monumentale musicalità di Mikis Theodorakis. Compositore delle planate geniali che, sentendo la "Nona di Beethoven" capì quale fosse la sua strada abbandonando quella del matematico. Volò a Parigi e là sentì, più forti che mai, le sue radici tanto da comporre, proprio nella capitale francese, tutte le canzoni intonate da Salonicco alla più remota delle isolette greche. E’ così che, attraverso la sua "musica popolare elaborata", percepisce tutta la validità di tutti i suoni, anche di quelli fino ad allora più sacrificati intuendo che "l’orecchio umano si evolve e che i greci antichi non sopportavano l’ascolto simultaneo di certe note, mentre oggi questi tipi di armonie vengono ampiamente accettate. Parimenti nel gesto ripetitivo e conosciuto del pescatore che alza la rete dal mare o del contadino che vanga la terra si possono trovare le melodie dei musici di Mikonos. Nel soffio orgoglioso delle loro zampogne, o nella percussione dei tamburi, la freschezza di suoni ancestrali sembra fondersi con la ripetitività di consonanze che rimandano quasi a pezzi da house music. Spetta a noi, ricordarci che aedi e rapsodi non ci sono più ma che qualcuno dei loro frammenti eufonici o cacofonici che siano, viaggia già sospeso alla rete telematica per rigenerarsi attraverso inconsuete melodie pronte di nuovo a dipanarsi e ricomporsi in sonorità che rimandano alla labilità della vita umana stessa. E mentre l’indimenticabile Zorba, creato dal grande scrittore Kazantzakis, dice "se qualcuno mi parla quando suono il mio santuri, non lo odo e se lo odo, non posso rispondere" comprendiamo come la musica sia nel tempo che passa ma anche fouri di esso ed in questo piccolo e grande segreto sta la sua piccola e grande forza.

                                                                                                             Michela Papavassiliou