"I guess i must be having fun" "suppongo che dovrei divertirmi" dice la canzone "this must be the place" dei Talking Heads. Sottotitolo perfetto per un grande Sean Penn protagonista del capolavoro di Sorrentino. Dovrebbe divertirsi a vivere Cheyenne che ha raggiunto in passato con le sue canzoni, un successo assoluto, che economicamente puo' permettersi qualsiasi cosa. Ma cosi non e'. "Ci sono molti modi di morire il peggiore e' rimanere vivi" sembra la colonna sonora di ogni suo passo quotidiano. Memorabile l'incedere lento, appesantito dal troller che si trascina ovunque al posto della sua affaticata ombra. Quasi totalmente assente ogni mimica facciale, centellinate e simili ad un rantolo moribondo le frasi pronunciate. Anoressica la parola ed il sentimento e' reso ancora piu' malinconico da una risata minimale in costante difetto di forma e suono. Soffia per scacciare un ciuffo di capelli che ricade sempre tra lui e l' interlocutore, tra lui e le cose. Un soffio all' insu', tentativo meccanico di rimuovere pensieri fastidiosi quanto difficili da interpretare. "Qualcosa mi ha disturbato non so esattamente che cosa ma qualcosa mi ha disturbato" dice come in un ritornello. Eterno adolescente, sposato a una ex figlia dei fiori che lo fa giocare cercando inutilmente di distrarlo dai suoi spettri. Sono quei ragazzi che ascoltando le sue canzoni hanno perso la vita nel tentativo di aderire ad un modello che oggi lui rinnega con forza. Sono quel rapporto che non ha mai avuto col padre. Sono il Male di Vivere. Latitanti ormai da decenni le passioni, ma ancora pulsante e straziante la rabbia per un passato che preme al fianco sigillandolo contro le sue disillusioni. La valigia con le rotelle e' trascinata come lui e arranca tra gli accidenti del selciato sconnesso alla stregua del suo vissuto. E' impossibile non voler bene a Cheyenne, fin dai primi fotogrammi. Pura calamita quei limpidi occhi azzurri da eterno ragazzimo, come non vederci riflessa la nostra anima? Truccarsi lo faceva a quindici anni ed e' stato rituale necessario perpetuato per tutta una vita. Lo riconoscono per strada,mentre una parte di se' vorrebbe essere invisibile al mondo. Arriva in ritardo alla morte paterna ma in anticipo per sbirciare alla fine della sua vita. "Il dolore non e' la destinazione finale". Lo sa bene. Il viaggio per quella America dimenticata alla ricerca del nazista ossessione paterna, e' un muoversi attraverso uno spazio a tratti surreale. Un passaggio a livello si trasforma nella sagoma di una gigantesca bottiglia di whisky da insegna pubblicitaria. Un bisonte osserva il protagonista attraverso il vetro distogliendolo da pensieri omicidi, un vecchio indiano si fa portare in mezzo ad una steppa, allontandosi verso le montagne all' orizzonte, senza proferire parola. La casualita' in questo viaggio e' solo apparente, il filo da seguire diventa presto una serie di coincidenze significative con un unico protagonista. Il palco e' la vita piena, fatta di elementi straordinari. "Ultimamente mi sono capitate cose rare" dice e alla domanda della moglie "Perche' dovrei essere alla ricerca di me stesso? Non sono mica in India, sono in America" lui sa che e' vero esattamente il contrario e cio' rappresenta il preludio ad una rinascita. Alle bugie dette per far piacere risponde con un sorriso liberato "Non e' vero ma e' bello che tu me lo dica" perche' la vita e' splendida ora, accettabilmente imperfetta. Gettata maschera trucco e filtri non resta che viverla tutta, fino in fondo.
michela papavassiliou. dicembre 2011