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Autocertifico che Sono Viva
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Gioconda by Petros |
Mi sono trovata da sola a Milano d'agosto. Un documento urgente da fare al consolato brasiliano per mia figlia ed eccomi qua, in coda alle otto del mattino nelle scale di un edificio anni sessanta rimesso a lucido per accogliere gli uffici diplomatici. Guadagno a fatica il primo piano. Obiettivo e' prendere un numerino di prenotazione prima che le stanze si riempiano di gente. E' il mio turno l'addetto mi chiede quale sia la mia necessita'. Alla parola Autocertificazione un ghigno beffardo si dipinge sul suo volto. "Deve andare in Comune e certificarlo in Prefettura." Esco mi dirigo agli uffici comunali dove mi accoglie un " Ma noi non facciamo questo genere di cose. Lo scriva su di un figlio in bianco e' sufficiente e non occorre che lo faccia timbrare dal prefetto." Chiedo un modulo prestampato per autocertificazioni generico e mi viene dato con una certa ritrosia. Penso che al consolato un minimo di intestazione istituzionale possa piacere e fuori, sul cofano di una macchina, scrivo il testo inventandolo di sana pianta poiche' nessuno fino ad ora e' stato in grado di dirmi cosa ci devo scrivere. Torno in questo Brasile satellite sul suolo italiano e l'impiegato di prima con aria di intolleranza massima mi dice tra i denti di andare a legalizzarlo. "Non mi interessa cosa le abbia detto il comune, per il nostro governo lei deve andare in prefettura."Lo guardo con aria di odio e mi dirigo con quaranta gradi all'ombra presso uffici chiusi senza riserve per l'intera settimana di ferragosto. Mi dirigo al tribunale. Nessuno mi ha detto di farlo ma ricordo che qualcuno un tempo mi aveva parlato di un ufficetto preposto a simili cose. Arrivo davanti a palazzo di giustizia. Sembra un pachiderma in letargo. Niente detenuti, imputati, giudici o avvocati. Due uscieri accaldati e stanchi mi guardano come fossi sbarcato da Giove. "Dovrei certificare un documento" "Qui non certifichiamo." Pausa. Panico. Li guardo con aria persa. Colti da pieta' mi dicono: " Forse voleva dire legalizzare." "Si infatti" "Guardi e' tutto chiuso ma se va al quinto piano con l'ascensore e al sesto a piedi forse la possono aiutare." Metto la borsa come nei blocchi sicurezza sul vassoio porta oggetti e mi accorgo che in realta' sono vaschette trasparenti della frutta e verdura riciclate. Mi sento addosso in un nano secondo tutti i tagli che il governo ha fatto al settore giustizia e mi rammarico per chi deve lavorare in questo modo e per questa povera Italia messa in ginocchio. Guadagno la stanza indicatami tra corridoi deserti e un silenzio inquietante. Due extracomunitari dotati di carrelli e di un'aria rassegnata portano faldoni di qua e di la' in aule fantasma. I commessi, un uomo e una donna mi guardano increduli che qualcuno sia riuscito ad arrivare fino a li in una giornata come questa. La signora prende in mano il foglio e decreta che loro non fanno questo genere di cose. Mi sento come le avessi fatto una proposta indecente. Spiego con un fil di voce che senza il loro timbro mia figlia non puo' tornare in Italia per importanti motivi familiari. "Ma la cosa allora ha carattere d'urgenza-dice lui-ora provo a vedere" Da un'agenda molto vissuta cava un numero di telefono e chiama. Lo abbraccerei per lo slancio che sta avendo nei miei confronti ma la mia gratitudine lo travolgerebbe e mi trattengo. Mi dice di andare dal suo collega cancelliere e io obbedisco al volo. Li saluto e ringrazio. "Signora ci rivediamo dopo tanto deve ripassare da noi, aspetti a salutarci." Viaggio nel deserto e finalmente arrivo a destinazione. Il cancelliere mi stava aspettando. Il suo viso privo di mimica facciale mi inquieta un po ma non resta che prendere il toro per le corna e mi accomodo davanti a lui. La scrivania strabocca di carte e codici e una sua collega si avvicina lanciandogli una battuta che non afferro per intero. "...Poi prendi la maglietta di Calvin Klein" In quell'istante mi prefiguro una tshirt da mercato taroccata dello stilista e mestamente, senza proferire parola, mi rivolto a lui. L'uomo scuote la testa legge gli articoli in calce al foglio, sfoglia codici e non si ritrova. Sbuffa. Io muta. So per certo che gli articoli non si riferiscono all'autocertificazione che devo fare ma tante' li avevo preferiti ad un foglio anonimo bianco. Sussurro che forse possiamo riscrivere tutto su carta semplice. Fa una smorfia con aria schifata. Alza lo sguardo e mi guarda fisso ora. Il panico mi sta per far rizzare tutti i capelli. "Ma lei ce l'ha la marca da bollo da 3.47?" "No veramente..." Abbasso le spalle bastonata nell'animo. "E quella da 16? E la carta di identita'?" Allungo tremante il passaporto verso l'Inquisizione. "Ha solo questo?" Pigolo "Ssi..." "Vabbe' vada a comprare i bolli intanto" Volo compro e torno. Lui intanto ha preparato un foglio del tribunale. Straccio con gioia quello che avevo, non prima di avere copiato precisamente il testo da me inventato in precedenza. Se lo avessi riscritto a memoria l'effetto di autenticita' si sarebbe ampiamente perso. Mi osserva apporre la firma e timbra davanti e dietro. Vorrei ardentemente che timbrasse anche di lato ma lo spessore del supporto non lo consente. Sono in un libro di Kafka e la cosa comincia quasi a piacermi. Scendo dai miei ormai amici, c'e' un pubblico ministero da trovare e dopo il suo autografo sono libera. L' orgoglio che questo pezzo di carta abbia tutti questi sigilli mi gonfia il petto come un palloncino, lo ammetto e trotto alla volta do Brazil tutta contenta. Gia' mi pregusto l'espressione esterefatta dell'aguzzino sudamericano. Arrivo gli taglio il sorriso di netto. Non puo' credere nemmeno lui che sia riuscita a raccattare cosi tante medaglie al valore in poco tempo. Dopo due ore di coda raggiungo lo sportello. Mi avvvicino alla finestrella come un soldato che dalla trincea avanzi sugli avanbracci per spiare il nemico. Ho l'elmetto un po storto, sono sbrindellata qua e la' ma alla fine una magnifica lunare etichetta multicolore viene apportata al mio capolavoro. "Oh! " Sono in estasi. Esco e lo guardo controluce in tutta la sua apoteosi. Autocertifico che Sono Viva. Michela Papavassiliou